a cura di Luca Incerti e Augusto Santelli (2022)
La cantata-oratorio rappresenta una delle composizioni più importanti della “produzione romana” di Niccolò Jommelli negli anni tra il 1740 e il 1753. In questo periodo il grande musicista aversano soggiornò molte volte nella Città Eterna, venendo a contatto con un mondo culturale sempre più ricco, variegato ed intrigante, che conosciamo da molte fonti, prima fra tutte il “Diario Ordinario” di Chracas, e che neppure l’enciclica Annus qui hunc, emanata da papa Benedetto XIV nel 1749, riuscirà a limitare. Proprio nelle composizioni di quegli anni molti studiosi hanno individuato la dinamicità del processo di rinnovamento musicale e drammaturgico in costante divenire, che segnerà le “fasi” della produzione di Jommelli. Il compositore, infatti, non soltanto comporrà per i teatri d’opera romani, ma verrà contattato anche da importanti committenti, tra cui l’Ordine degli Scolopi, per i quali Jommelli scriverà ben quattro cantate dal 1749 al 1752.
Ogni anno, infatti, l’Ordine organizzava una importante “Accademia solenne” in occasione della Natività della Beata Vergine, caratterizzata dall’esecuzione di una cantata commissionata ad illustri compositori dell’epoca: ma questa del 1749, la prima composta da Jommelli per gli Scolopi, è particolarmente rilevante in quanto celebra il Padre fondatore dell’Ordine stesso, Giuseppe Calasanzio, beatificato da papa Benedetto XIV il 18 agosto del 1748. L’importanza dell’evento, legato all’esecuzione di quest’opera, spinse gli Scolopi ad anticipare la data dell’annuale Accademia dall’8 settembre al 13 aprile e ad organizzare una recita ancor più significativa, scritturando nel ruolo principale di Giuseppe, ovviamente con un compenso pari al totale delle retribuzioni di tutti gli altri interpreti, uno dei più celebri e importanti castrati del Settecento, Gioacchino Conti, detto “Gizziello”.